MISERICORDIA E CURA DELLA SALUTE

MISERICORDIA E CURA DELLA SALUTE

13 maggio 2020

MISERICORDIA E CURA DELLA SALUTE

“Il mistero della fede cristiana sembra trovare nella misericordia la sua sintesi”. Così si esprime papa Francesco nella Misericordiae Vultus del 11 aprile 2015. E più oltre: la misericordia “mostra come essa sia la sola medicina che possa guarire le ferite del tempo e della storia. L’amore del Dio vivo per le sue creature non si stanca mai di venire loro incontro, specialmente quando più forte è il bisogno che esse ne hanno”. Questa capacità taumaturgica della misericordia può dunque delineare l’azione medica per chi, ispirandosi alla fede, intende vivere con consapevolezza la propria professionalità.

Ma che cosa si intende per misericordia? L’ebraico biblico, pur disponendo solo di poco più di cinquemila lemmi, riesce ad esprimere la realtà vasta e complessa dell’esperienza umana, perché fa ricorso a immagini che rendono plasticamente l’idea che si intende esprimere. Così la parola ebraica che designa la misericordia (rachamin), definisce propriamente il grembo materno, il luogo in cui ha inizio ogni vita. L’idea è quella di un’esperienza originaria che ci accomuna tutti, la gratuità da cui tutti veniamo, la custodia primordiale che accoglie, nutre e protegge. L’immagine richiama un sentimento di coappartenenza, quello che lega il concepito alla madre: sentimento di tenerezza e persino di commozione profonda. La misericordia evoca l’amore viscerale, non condizionato dalla reciprocità, ma mosso unicamente dalla volontà di bene per l’altro.

L’espressione greca per rendere l’ebraico rachamin è splanchna, che letteralmente significa “viscere” e da cui deriva il verbo usato nella cosiddetta parabola del figlio prodigo per esprimere la reazione del padre alla vista del figlio che torna a lui: esplanchniste, reso in italiano con “ne ebbe compassione”. Questa pagina del cap. 15 del vangelo di Luca, dunque, può essere giustamente considerato il manifesto della misericordia divina. Nei tratti del padre della parabola è possibile riconoscere le caratteristiche del Dio misericordioso rivelato da Gesù, caratteristiche che sembrano avere un particolare valore nell’esercizio della professione sanitaria.

Al primo posto c’è l’umiltà (di fronte alla scelta del figlio che decide di gestirsi la vita indipendentemente da lui, il padre, pur potendolo, non oppone resistenza). Questa caratteristica parla direttamente a chi, lavorando in ambiente ospedaliero, si trova ad essere responsabile in modo speciale del bene prezioso della salute di quanti si affidano alle sue cure. Un operatore sanitario privo di umiltà rischia di imporre i suoi schemi mentali a chi invece ha bisogno di essere considerato nella singolarità del suo caso e delle sue necessità.

Il Dio umile della parabola è poi il padre che, pieno di speranza, sta alla finestra ad attendere il ritorno del figlio. Anche nelle situazioni più difficili e di fronte ai casi più gravi l’operatore sanitario che non abbia e non dia speranza, difficilmente riuscirà ad aiutare in modo efficace chi si affida alle sue cure.

Va infine evidenziata la motivazione che spinge il padre della parabola ad agire (si veda la scelta parallela di correre incontro sia al figlio minore che torna a casa, sia al figlio maggiore che non vi vuole più rientrare): l’amore incondizionato. Analogamente, chi opera nella sanità, lo fa efficacemente in forza di un’opzione fondamentale di dedizione e di servizio. L’autorevolezza di chi fa della cura la sua professione (verrebbe da dire la sua vocazione) non risiede nella distanza che mantiene, pur necessaria per valutare con oggettività e lucidità il da farsi, ma nell’impegno generoso, persino esagerato, che mette in tutto ciò che fa per l’ammalato.

A questo proposito mi si permetta una breve parentesi: mi sono sentito orgoglioso di far parte di questa Fondazione vedendo il numero elevato di medici, infermieri, operatori del Besta che, in queste settimane segnate dall’epidemia di Covid 19, si sono resi disponibili per lavorare in prima linea, lì dove l’emergenza richiedeva una professionalità caratterizzata dalla dedizione generosa, dalla speranza che non demorde, dall’umiltà di chi si mette in gioco dove occorre. Sicuro di interpretare i sentimenti di tutti, voglio qui dire loro pubblicamente il mio grazie!

In conclusione, consapevolmente o meno che lo siano, coniugando umiltà, speranza, dedizione generosa con competenza e professionalità, il medico, l’infermiere e ogni altro operatore sanitario esercitano di fatto la misericordia divina, di cui sono chiamati ad essere speciali testimoni verso chi soffre. In questa prospettiva tali figure professionali si riconosceranno chiamate non solo a curare le malattie dei corpi, ma anche a farsi attenti all’integralità della persona del malato, nella varietà dei suoi aspetti e delle sue esigenze, in un orizzonte di bene che supera il semplice ristabilimento della salute fisica. Ben sapendo che, come affermava il medico santo Giuseppe Moscati, “il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardore della carità e la tenerezza della misericordia”.

 

Don Stefano 

Per queste righe sono debitore di B. FORTE, Medicina, etica, spiritualità, Cinisello B. 2017

Responsabile della pubblicazione: Ufficio Stampa
Ultimo aggiornamento: 13/05/2020