Un nuovo studio - DIMOSTRATI E MISURATI NEL PAZIENTE PARKINSONIANO GLI EFFETTI DI LUNGA DURATA DELLA TERAPIA CON LEVODOPA

Un nuovo studio - DIMOSTRATI E MISURATI NEL PAZIENTE PARKINSONIANO GLI EFFETTI DI LUNGA DURATA DELLA TERAPIA CON LEVODOPA

22 luglio 2020

Un nuovo studio - DIMOSTRATI E MISURATI NEL PAZIENTE PARKINSONIANO GLI EFFETTI DI LUNGA DURATA DELLA TERAPIA CON LEVODOPA

La levodopa è da più di 50 anni il trattamento sintomatico d’elezione della malattia di Parkinson (MdP): la sua efficacia sui sintomi motori ha tuttavia oscurato la capacità di comprendere appieno gli aspetti relativi al suo meccanismo d'azione, l'efficacia differenziale sui sintomi motori, l'evoluzione delle complicanze motorie e, paradossalmente, anche la durata del suo effetto. Proprio quest’ultimo è stato oggetto dello studio[1] sulla popolazione africana appena pubblicato sulla prestigiosa Rivista scientifica “Brain”, realizzato dai Ricercatori della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson, della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano e del Centro Parkinson e Parkinsonismi dell’ASST Gaetano Pini-CTO in collaborazione con neurologi e altri medici locali.

Link all’articolo https://academic.oup.com/brain/article-lookup/doi/10.1093/brain/awaa181

“Con questo studio abbiamo potuto osservare che il trattamento farmacologico determina un beneficio persistente, anche a distanza di 12 ore dall’ultima dose (definito ‘overnight-OFF’), anche nelle fasi più avanzate di malattia. - dichiara Roberto Cilia, Neurologo presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano e Principale investigatore - Conseguentemente, grazie a quella che nel nostro studio definiamo risposta di lunga durata alla levodopa (long duration response), la disabilità motoria era risultata notevolmente meno grave rispetto al naturale decorso della malattia. Abbiamo inoltre notato che l’entità della risposta di lunga durata della levodopa nel periodo di off varia tra il 60 e il 65 per cento il beneficio motorio totale fornito dal trattamento giornaliero con levodopa indipendentemente dalla durata della malattia. Pertanto, nonostante la terapia con levodopa si associ alle cosiddette ‘fluttuazioni motorie’, ovvero alternanza di ‘fasi ON’ caratterizzate dal controllo dei sintomi parkinsoniani alternate a ‘fasi OFF’ nelle quali ricompaiono i sintomi della malattia (definita risposta di breve durata alla levodopa, short-duration response), il farmaco protegge costantemente il paziente anche nelle fasi OFF degli stadi più avanzati di malattia e cosa più importante è stato dimostrare che tale beneficio si mantiene anche a distanza di 4 anni dall’inizio del trattamento – afferma Cilia”.

 

È stato dimostrato inoltre un miglioramento anche di quei sintomi da sempre attribuiti alla degenerazione di sistemi non dopaminergici (in aggiunta al sistema dopaminergico, primariamente coinvolto dalla malattia), come le cadute e l’instabilità posturale, che solitamente nella malattia di Parkinson non rispondono pienamente alla levodopa. “Durante le nostre ricerche abbiamo osservato che alcuni sintomi e segni assiali, tra i quali l’instabilità posturale che porta alle cadute, hanno invece risposto in maniera importante alla terapia con levodopa e soprattutto che questa risposta è stata mantenuta nel tempo, anche a distanza di due anni, riducendo sostanzialmente il rischio di cadute e quindi di fratture” – precisa Cilia.

 

I risultati dello studio hanno implicazioni importanti anche per gli studi su farmaci potenzialmente neuroprotettivi nella malattia di Parkinson. In diversi studi farmacologici condotti su questa tipologia di farmaci a livello mondiale, gli effetti neuroprotettivi vengono spesso calcolati come minor peggioramento della disabilità motoria nella fase overnight-OFF (considerata come indice della progressione della malattia) nel corso di 12 o 24 mesi rispetto al placebo. “Il nostro studio suggerisce l’esistenza di un meccanismo alla base della risposta di lunga durata che non è rappresentativo della degenerazione dei neuroni dopaminergici; per cui utilizzare i punteggi raccolti in ‘overnight off’ come endpoint primario in studi su molecole neuroprotettive può essere fuorviante e generare risultati falsamente positivi o negativi. Infine, comprendere e potenziare i meccanismi che consentono la persistenza della risposta di lunga durata anche dopo 20 anni di malattia aprirà la strada a nuove strategie terapeutiche.” – conclude Cilia.

 

“Siamo molto soddisfatti dei risultati ottenuti da questo studio, non solo perché fornisce informazioni importanti sulla gravità e la progressione delle disabilità motorie nel paziente con MdP, ma anche perché annulla le riserve da parte di specialisti e pazienti sull'avvio della levodopa all'inizio della malattia a causa della preoccupazione che il beneficio possa essere limitato, avendo invece dimostrato che il farmaco ha una persistenza di effetto piuttosto rilevante. – precisa Pezzoli – Continuare questi studi in Africa sarà comunque ancora uno dei nostri obiettivi anche dal punto di vista umanitario, al fine di garantire il trattamento gratuito a molti pazienti che, per mancanza di risorse economiche, non potrebbero diversamente accedere a terapie economicamente insostenibili per queste aree geografiche a basso reddito. Tutti questi studi vengono condotti, ovviamente, secondo le norme etiche internazionali”.

 

 

[1] Roberto Cilia, Emanuele Cereda, Albert Akpalu, Fred Stephen Sarfo, Momodou Cham, Ruth Laryea, Vida Obese, Kenneth Oppon, Francesca Del Sorbo, Salvatore Bonvegna, Anna Lena Zecchinelli e Gianni Pezzoli, “Natural history of motor symptoms in Parkinson’s disease and the long-duration response to levodopa”, Brain 2020. DOI: 10.1093/brain/awaa181

Responsabile della pubblicazione: Ufficio Stampa
Ultimo aggiornamento: 22/07/2020