UNA MATRICOLA UNA STORIA: MARIAROSARIA GAMMONE

UNA MATRICOLA UNA STORIA: MARIAROSARIA GAMMONE

17 aprile 2025

UNA MATRICOLA UNA STORIA: MARIAROSARIA GAMMONE

La curiosità come motore dell'esplorazione umana e della ricerca scientifica. La curiosità che è la scintilla capace di dirigere interessi e motivare gli sforzi. È questa la parola chiave che Mariarosaria Gammone, infermiere di ricerca al Besta ha utilizzato in maniera ricorrente in questa intervista. Nata a Venosa, in Basilicata è proprio la curiosità per lo studio a convincerla a spostarsi da un piccolo paese verso la capitale per intraprendere gli studi – triennale e magistrale – in infermieristica. Ed è proprio a Roma, città dove ha conosciuto anche il suo futuro marito, che deve una bella fetta della sua formazione professionale. Anche i suoi hobby ruotano attorno alla curiosità: dai viaggi, alla lettura, alle passeggiate con il cagnolino Renato, alla passione per la storia dell’arte. Arrivata al Besta nel 2019 Mariarosaria è infermiere di ricerca, una professione non molto conosciuta ma che riveste un ruolo fondamentale soprattutto nell’attività di un IRCSS.

Come mai hai deciso di diventare infermiere?

Ho scelto questa professione perché volevo aiutare le persone. Sono cresciuta in una famiglia in cui tutti si dedicano a professioni d’aiuto, ma mancava un infermiere! Penso che sia il professionista che più di ogni altro rappresenti l’aiuto concreto al paziente. L’infermiere è orientato alla persona, e non alla patologia e a me ha sempre interessato e colpito questo aspetto. Poi mi sono appassionata molto all’ambito della ricerca. Dopo la laurea triennale in infermieristica sentivo che mancava qualcosa, delle competenze in più, ma soprattutto quel contributo di crescita che potevo portare alla professione. E così mi sono appassionata e ho proseguito i miei studi con una laurea magistrale in ambito manageriale cui sono seguiti corsi di perfezionamento in ambito di ricerca sugli studi secondari con l’obiettivo di migliorarmi sempre.

In cosa consiste la professione dell’infermiere di ricerca?

Nell’ambito della ricerca infermieristica esistono due grandi differenze: il ricercatore infermieristico che si occupa della ricerca e il clinical research nurse che si occupa dei trial clinici e che ha una formazione mirata all’ambito della ricerca per di più medica, di cui conosce protocolli e procedure. Non si tratta di figure professionali particolarmente diffuse in Italia, in particolare per formare i “ricercatori infermieristici” esistono pochissimi percorsi di dottorato dedicati. Io sono stata fortunata e ho iniziato il mio dottorato in collaborazione con il Besta nel 2022 presso l’università di Genova ed ora sono in attesa della proclamazione a maggio. Ho avuto l’opportunità di fare ricerca nel settore che mi interessava: l’ambito neurologico. Nel mio ruolo di infermiere di ricerca rappresento una figura altamente specializzata che unisce la parte di clinica e pratica infermieristica con la parte di ricerca, avendo anche competenze manageriali. Attualmente svolgo diverse attività correlate alla ricerca: analizzo gli esiti infermieristici, porto avanti progetti infermieristici che nascono insieme ad altri colleghi e collaboro con altre istituzioni e università, nonché diversi professionisti, nel cercare di sviluppare la ricerca. Lo scopo finale è quello di migliorare da una parte la qualità dell’assistenza e dall’altra lo sviluppo della professione.

Cosa ritieni importante del tuo ruolo?

La prima cosa è la promozione della ricerca infermieristica. In Italia sono pochissimi gli Istituti ospedalieri che la svolgono e il campo si ristringe ancora di più se si considerano gli ospedali pubblici. Ad esempio, io sono l’unica figura di questo tipo all’istituto Besta.

Ora su quali progetti stai lavorando?

In realtà ci sono molti progetti di ricerca infermieristica in cui abbiamo concluso la raccolta dei dati e di cui stiamo scrivendo i risultati. C’è un progetto a cui tengo molto sui pazienti affetti da Moya Moya e che è nato da un’esigenza assistenziale. Ho lavorato nel reparto dei pazienti ricoverati con questa diagnosi e mi sono accorta che c’erano molte persone giovani che avevano una sintomatologia aspecifica. Quando entravano in reparto noi avevamo l’impressione di non riuscire a dare abbastanza importanza ai loro sintomi. Quindi ci siamo chiesti, cosa possiamo fare in più? Con l’aiuto di una psicologa abbiamo approfondito il concetto del coinvolgimento attivo (engagement) e abbiamo realizzato interviste per raccogliere i loro bisogni, al fine poi di lavorare ad un’assistenza più puntuale e mirata per loro. Si tratta di un progetto cui tengo moltissimo perché queste interviste mi hanno arricchito molto sia dal punto di vista umano sia professionale.

Cosa consiglia a chi decide di intraprendere questa professione?

Quella dell’infermiere è una professione difficilissima soprattutto in questo momento storico. È sempre più difficile cercare di essere i professionisti che vogliamo. Mancano le risorse a tutti i livelli. Il consiglio che do è quello di essere sempre orientati alla persona più che al paziente. Essere curiosi cercando di migliorarsi come professionisti. Questo significa sviluppare le proprie competenze in ambito professionale cercando di migliorare la propria attività per accompagnare al meglio i pazienti nei momenti più complessi della loro esistenza. In questo modo la nostra professione può essere maggiormente considerata anche a livello sociale. In ultimo vorrei ricordare a chi si affaccia a questa professione di approcciarsi sempre con curiosità, perché si tratta di un ruolo trasversale e che abbraccia, a tutto tondo la presa in carico del paziente, comprendendo ad esempio anche l’educazione sanitaria: dalla prevenzione fino ad arrivare al caregiver. Insomma, dobbiamo cercare di essere mossi da questo moto di miglioramento alla persona per essere in primis felici e soddisfatti di noi stessi come infermieri.

Ultimo aggiornamento: 17/04/2025