World Cancer Day: il Besta studia terapie innovative basate sulle potenzialità del sistema immunitario nel trattamento del glioblastoma
World Cancer Day: il Besta studia terapie innovative basate sulle potenzialità del sistema immunitario nel trattamento del glioblastoma
03 febbraio 2025
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Il 4 febbraio si celebra in tutto il mondo il World Cancer Day, la giornata promossa dalla UICC - Union for International Cancer Control e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per sensibilizzare l'opinione pubblica sul cancro.
Abbiamo chiesto alla dottoressa Serena Pellegatta, Responsabile della Struttura Semplice di Immunoterapia dei tumori cerebrali dell’Istituto Besta di raccontare i progressi delle terapie innovative basate sulle potenzialità del sistema immunitario nel trattamento del glioblastoma, uno dei tumori cerebrali più aggressivi.
Il nostro Istituto è impegnato da anni nel cercare di educare il sistema immunitario a riconoscere ed sconfiggere efficacemente le cellule di glioblastoma, un tumore che ancora oggi purtroppo ha una prognosi infausta. Attualmente stiamo puntando su una forma innovativa di immunoterapia che utilizza i linfociti dei pazienti come mezzo per eliminare in maniera mirata e specifica le cellule tumorali. Abbiamo scoperto che i linfociti che infiltrano tumore (tumor infiltrating lymphocytes – TILs) hanno l’opportunità di incontrare, riconoscere e conservare una memoria specifica delle cellule tumorali ed eventualmente delle loro mutazioni. In altre parole, i linfociti, una volta isolati, ci offrono una fotografia di com’è il tumore. Ad oggi abbiamo imparato molto bene ad isolare i linfociti che infiltrano la massa tumorale e siamo in grado di riattivarli ed espanderli in laboratorio per una potenziale re-infusione nel paziente. Il problema è che il glioblastoma – come altri tumori solidi – sfrutta una serie di escamotage per sfuggire alla capacità del sistema immunitario e dei linfociti.
Che tipo di escamotage?
Il glioblastoma agisce nel cosiddetto microambiente tumorale che è costituito da cellule immunitarie, per lo più macrofagi, che iniziano a “collaborare” con il tumore per inibire la risposta dei linfociti. In questo sistema così soppressivo i linfociti vengono confusi e si esauriscono (exausting) e pur di non andare incontro a morte si arrendono all’ambiente immunosoppressivo. Il nostro compito – quindi – diventa quello di rinvigorirli identificando quei linfociti che possono essere riutilizzati per un eventuale approccio terapeutico, da quelli definitivamente esausti. Ciò è reso possibile grazie alle tecnologie innovative introdotte da un paio di anni – le Omics – che ci permettono di scrutare le singole cellule nel loro assetto più interno del loro codice genetico. Non mi riferisco soltanto alle cellule tumorali, ma anche a quelle del microambiente e dell’ecosistema che collabora con il tumore. Conoscendole una ad una, non solo possiamo identificarle specificatamente, ma anche conoscerne il ruolo e capire come combatterle o come convertirle a favore dei linfociti. Questo è il progetto di ricerca più avanzato che stiamo portando avanti.
Quali sono i prossimi passi?
Attualmente abbiamo messo a punto la procedura di isolamento dei linfociti, sappiamo identificare quelli che definiamo tumor reactive – ossia i linfociti che hanno riconosciuto il tumore e che quindi sono necessari per riconoscerlo nuovamente una volta infusi nel paziente. Abbiamo perfezionato le tecniche per riattivarli e riespanderli in vitro definendo al meglio i dettagli di una terapia sempre più mirata. Al momento stiamo lavorando alla documentazione da inviare alle autorità regolatorie competenti in previsione dell’avvio di uno studio clinico. Ci auguriamo di riuscire a trattare i primi pazienti entro la fine di quest’anno.